Caro Presidente Monti,
vengo subito al dunque e Le propongo una riforma del settore pensionistico che potenzialmente avrebbe i seguenti vantaggi:
1) Migliorare a costo zero il settore pensionistico
2) Abbassare lo spread in maniera duratura
Partiamo da uno dei pilastri del nostro sistema pensionistico: il fondo TFR
Attualmente il TFR corrisponde al 6,91% della retribuzione lorda.
Se lo lasciamo in azienda, matura secondo un indice composto costituito dalla somma dell’1,5 per cento in misura fissa e del 75 per cento della variazione (se positiva) dell’indice dell’inflazione rilevata dall’ISTAT.
Se conferito in un fondo pensione di tipo aperto o chiuso oppure ad un piano di previdenza individuale, abbiamo un rendimento che viene determinato dall’andamento del mercato, dalla bravura del gestore, al netto delle commissioni che quest’ultimo (in)giustamente e (im)meritatamente incassa.
Innumerevoli studi dimostrano che a parità di profilo di rischio e trattamento fiscale, il prudente TFR lasciato in azienda rende di più ed è più sicuro di un fondo gestito attivamente.
La mia proposta:
Perchè non incanalare i versamenti del TFR in un fondo che investe in titoli di Stato indicizzati come i BTPi?
Lo Stato potrebbe creare una banca telematica dove ad ogni lavoratore viene assegnato un conto per il TFR. Su questo conto, assegnato a vita (come il codice fiscale), il datore di lavoro versa i contributi che vengono investiti automaticamente in titoli del Tesoro indicizzati all’inflazione.
Vantaggi:
1) Maggiore sicurezza per il lavoratore
2) Rendimento più alto rispetto ad altre forme di previdenza integrativa (considerate a parità di profilo di rischio)
3) Maggiore rendimento = maggiore entrate fiscali per lo Stato
4) Flessibilità assoluta in caso di cambio di occupazione: il conto rimane unico a vita.
5) Zero dispersione in commissioni di gestione (il conto della casalinga ci insegna che a parità di rendimento, una commissione di gestione annua dell’1%, in un periodo di 35 anni, implica un rendimento complessivo decurtato del 29%)
6) L’eventuale fallimento del datore di lavoro o del gestore del fondo non sarebbe più un problema per il contribuente (senza considerare le mancate controversie giudiziarie e relativi costi che emergono in caso di fallimento)
7) Considerando uno stipendio lordo medio annuo di ca. 19000 €, la quota del 6.91% (1312 €), moltiplicata per circa 16.000.000 di lavoratori dipendenti in Italia corrisponderebbe a circa 20.000.000 € (venti miliardi). Questi 20 miliardi all’anno, investiti in BTPi, porterebbero ad un’immediato calo del famigerato spread.
8) Gli interessi maturati rimarrebbero in Italia e contribuirebbero alla nostra economia e non ad ingrassare banche straniere e speculatori di ogni ordine e grado.
9) I contributi versati a forme di previdenza complementare sono deducibili per un massimo di 5164,67 €. Applicando lo stesso trattamento al nostro fondo e ipotizzando uno scenario molto prudente dove il versamento “extra” sarebbe di 50 € al mese, avremmo circa 800.000.000 € in più. Facciamo 100 €? Siamo già a 1.600.000.000 €. Vogliamo estendere lo stesso trattamento anche ai lavoratori autonomi?
10) Questa somma disponibile a lungo termine (in pratica l’intera vita lavorativa dei dipendenti, al netto dei riscatti anticipati previsti dalla legge) andrebbe a smussare i picchi della speculazione a breve termine, consentendo una gestione più tranquilla e meno emergenziale del debito pubblico.
Buon lavoro!